Non leggo da un lasso di tempo imprecisato
sarà buono un anno che non assorbo più le parole scritte
anche quelle parlate non reggo il tempo di un notiziario
c’è della nebbia che mi impedisce la comprensione
una demenza precoce sarebbe l’orrore
girano i pensieri a vuoto, si attorcigliano con la lingua
mettere il naso fuori non mi aggrada malgrado la laurea
sento di essere regredita in un’analfabeta funzionale
non capisco più le proposizioni che si coordinano e si subordinano
i verbi che si coniugano stancamente verso le venti di sera
il congiuntivo che non scatta più in piedi come un bravo soldato
le similitudini soltanto appaiono più prolifiche perché
è tutto uno spiegare in “come”, mi sento “come” un vecchio gozzo,
mi è sembrata “come” un’aggressione verbale, ” come” ” come” ” come”
sono in preda alla confusione, in preda a una strana prosa,
se apro il frigo è “come” se aprissi un forno, riesci a capirmi a volte,
non ho il coraggio di chiedere quello che mi è lecito, mi sarà nuovamente negato,
so che finisce in modo imprevedibile.
Anche le consonanti ho smesso di pronunciarle bene, non mi esplodono sui denti, né sul palato, non vibrano in gola, biascicano a tratti,
vorrei tornare all’asilo per recuperare un po’ di didattica, che mi succede Signore? ma davvero esiste un Signore? Ora che mi avvicino alla morte sarebbe conveniente credere in un altrove, mi piacerebbe andare verso una luce insolita priva di radiazioni e di calore, una luce fresca fatta di vento sugli occhi bollenti di pianto, non riesco a spiegare meglio e i critici neppure vogliono la chiarezza, la trasparenza, il senso univoco, la chiave di lettura, si agitano in un big bang di teorie, portami tre arance rosse, qualche enigma da risolvere che scatti in avanti il cubo di Rubik che ho nella testa, che si allinei in un qualche colore, cosa scrivono i poeti oggi? Devo googlare una poesia contemporanea per capire a che punto della storia siamo arrivati, è troppo che ignoro i miei colleghi, abbiamo mansioni diverse e diversi orari, mi sfuggono le citazioni, non associo un titolo a un autore, potrebbe essere la fluoxetina che ho raddoppiato o è solo nausea della tiritera quotidiana, se potessi attendermi all’ uscita di questa stanza affollata, sono quella che schiva le mani protese, gli sguardi intrusivi, anche l’ uscita di sicurezza farebbe al caso mio, bisogna uscire da questo bicchiere semivuoto, saltare dal bordo del piatto, fuggire tra le briciole sparse, ti mangiano sui capelli puliti, e ti danno della pazza schizzinosa se glielo fai notare, potrei fare una chiusa adesso, ma ho dimenticato l’atto di concludere, se avesse o meno un significato, e dunque lasciare aperto
Daniela Del Core@2024